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Iran: gli orrori del carcere di Evin

27-12-2022 00:16 - ESTERI
"Quando mi trovavo a Evin, sognavo spesso che un grande incendio divampasse, o che ci fosse un terremoto, così che questi muri cadessero, e noi potessimo fuggire e ritornare a casa". "Non avevamo niente tranne un tappeto e una sola coperta. Eravamo soggetti a ogni sorta di infezione perché i cuscini e le coperte erano sporchi e infestati di insetti". Nikar Zakka, uomo d'affari libanese residente negli Stati Uniti, venne arrestato nel 2015 dalle autorità iraniane dopo aver partecipato (su invito dello stesso governo) a una conferenza sul tema delle donne e dei problemi della famiglia. L'accusa: essere una spia per conto del governo americano. Passarono quattro anni prima che la richiesta del presidente libanese Michel Aoun per il rilascio di Zakka venisse finalmente accolta. Per un anno e mezzo Zakka venne tenuto in regime di isolamento, fatto che lo portò a svariati scioperi della fame, che ne minarono pesantemente le condizioni di salute.

Mahnaz Mohammadi è una film-maker e attivista per i diritti delle donne in Iran. Dal 2011 ad oggi ha già scontato diverse condanne all'interno del carcere di Evin, dove attualmente è detenuta per azioni di propaganda. Non essendo in regime di isolamento, la Mohammadi ha potuto comunicare con familiari e attivisti condividendo stralci della sua vita in carcere e documentando le condizioni di vita nelle celle. Specialmente ora che, dopo la morte di Mahsa Amini, le porte del carcere (già sovraffollato) si sono aperte per centinaia di dimostranti arrestati dal regime. " Una nota attivista è stata portata in carcere con le mani e i piedi legati a un gancio sopra la testa e al suo arrivo è stata stuprata dai poliziotti di guardia" racconta la Mohammadi.

Gli episodi cui sia Zakka che Mohammadi hanno assistito e che ora riportano alla BBC, rivelano la ferocia della repressione di un regime che ormai è diventato il terzo persecutore di giornalisti al mondo (con 43 giornalisti attualmente detenuti).
Un regime che sabota ogni tipo di organizzazione civile indipendente e che persegue i media locali ospitati all'estero attraverso confische nelle redazioni, blocco dei siti web, divieti di rimpatrio e intimidazioni verso i familiari dei giornalisti rimasti nel paese.
"In assenza di organizzazioni civili influenti, l'attenzione e il supporto dei media, delle organizzazioni per i diritti umani e dell'opinione pubblica stranieri sono essenziali", ha affermato la Mohammadi.

Una prigione, quella di Evin, ubicata nella capitale Teheran, nota all'opinione pubblica internazionale per le gravi violazioni dei diritti umani che da decenni vi avvengono: tra queste torture, esecuzioni di massa, violenze sessuali, deprivazioni di ogni genere.
Le condizioni detentive erano, come riportato da diversi ex detenuti e dallo stesso Zakka, già critiche prima dell'exploit di arresti degli ultimi mesi, il più dei quali riconducibili a presunti crimini politici.

Nella prigione, che al massimo potrebbe ospitare 320 detenuti, i 15000 realmente presenti si trovano ammassati in celle da 25 metri quadrati, che spesso accolgono anche 30 persone contemporaneamente.
Vasto l'impiego dei mezzi di tortura: luci perennemente accese per deprivare i detenuti del sonno, mancato accesso alle cure sanitarie, violenti interrogatori per estorcere delle false confessioni. " Se non rispondi alle loro domande ti obbligano a sederti o a stare in posizioni disagevoli finché, ormai sfinito, non crolli a terra… A quel punto iniziano a girarti attorno parlottamdo tra di loro e calpestandoti le mani" ha riferito Zakka.
Numerose sono state negli anni testimonianze di chi è entrato nella famigerata "camera delle torture", in cui uno dei mezzi più praticati per portare a confessare crimini mai commessi è la fustigazione dei piedi. Come testimoniato a "La Repubblica"dallo scrittore e attivista Iraj Mesdaghi, ex detenuto del carcere di Evin: "quando finirono di fustigarmi, mi sganciarono dalle corde per spostarmi sul letto iniziando a frustarmi i piedi. Credetemi…è impossibile descrivere il dolore delle frustate sulle piante dei piedi. Nessuna tortura è più terrificante di una fustigazione dei piedi, perché i nervi sono collegati direttamente al cervello. Avvertii un dolore molto forte dopo il primo colpo e aumentò esponenzialmente con le successive percosse. A far da colonna sonora a quell'incubo, venivano trasmessi in continuazione dall'altoparlante versi coranici e canti funebri islamici. Man mano che le piante dei piedi si gonfiavano, applicavano una spazzola metallica per aumentare il flusso sanguigno e procedere a un'ulteriore fustigazione. Era lancinante. Quando riuscivo a riprendere i sensi, distinguevo altre vittime appese al soffitto, con le piante dei piedi martoriate."

"Quando ero a Evin , sognavo che un grande incendio divampasse": il disperato e ricorrente sogno che Zakka serbava durante la sua prigionia, si è trasformato in realtà nella serata del 15 ottobre scorso. Un rogo, partito dalle sezioni 7 e 8 del carcere, quelle che accoglievano molti manifestanti ancora in attesa di giudizio, ha tenuto in ostaggio per ore il braccio maschile del complesso detentivo. Per ore i parenti dei detenuti si sono accalcati intorno alle mura di Evin preoccupati per la sorte dei familiari, impotenti davanti all'enorme colonna di fumo che saliva dall'edificio. Spari, sirene, le urla dei detenuti che invocavano la moete dell'ayatollah Khamenei. La speranza di una fuga che strappasse alle torture, alla morte. Poi più nulla. L'ordine verrà ristabilito. I morti saranno 8, i feriti almeno 61. Da alcuni l'incendio sarà attribuito al progetto di evasione di alcuni detenuti, da altri a un preciso disegno delle autorità per liberarsi in massa degli elementi più scomodi. Le autorità iraniane negheranno l'una e l'altra ipotesi, attribuendo l'incendio a un mero incidente. "Spero che quel sogno si realizzi, prima o poi, e che tutte quelle persone vengano liberate dai protestanti". Quel sogno rimane lontano. Ma la guerra, malgrado tutto, si continua a combattere.


Fonte: Sara Ludovica Pala
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