Due chiacchiere con Cinzia Mammoliti, criminologa.

01-04-2020 18:06 -

Ho avuto il piacere di parlare con la Dottoressa Cinzia Mammoliti, Criminologa, ritenuta tra i massimi esperti nazionali in materia di manipolazione relazionale e violenza psicologica si occupa di consulenza, ricerca e formazione dopo aver lavorato per molti anni con donne e minori vittime di violenza.

Socia SIC (Società Italiana Criminologia), docente per il Polo Anticrimine Interforze e la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell'Interno è membro del comitato scientifico di strutture operanti nel settore criminologico e autrice di diversi libri sull’argomento.

Ho conosciuto personalmente Cinzia e ne apprezzo la competenza, la passione e la serietà con la quale svolge il suo lavoro, senza risparmiarsi.


1) Come hai deciso di dedicarti alla criminologia?

R. Sono appassionata al lato oscuro della mente da sempre, da piccola amavo i film dell’orrore e i thriller, ero appassionatissima di cronaca nera e morbosamente incuriosita dai comportamenti imprevedibili e violenti. Crescendo pensai che avrei voluto approfondire questa strana passione e, dopo gli studi classici, decisi di iscrivermi a Giurisprudenza che era, allora, l’unica facoltà che consentisse un serio percorso di specializzazione in Criminologia. Terminati gli studi, con la tesi di Laurea proprio nella materia del mio cuore feci delle scelte di vita lontane dal percorso che mi ero inizialmente prefissata. Compiuti i trent’anni, però, decisi di dare una potente virata alla mia vita sia personale che professionale per tuffarmi in un’avventura meravigliosa che mi ha condotta ad occuparmi per molti anni di donne e minori vittime di violenza. Ho operato sul campo come educatrice e formatrice trattando la devianza a trecentosessanta gradi, inclusa quella minorile. Poi, a seguito di un’esperienza personale molto pesante, iniziai ad approfondire gli studi in materia di violenza psicologica e della manipolazione relazionale che la precede, fino ad arrivare a scrivere il libro che mi ha fatta conoscere in tutta Italia e oltre: “I serial killer dell’anima”, forse il primo identikit dettagliato e trattato sistematicamente del maltrattante emotivo.
Da lì a dedicarmi anima e corpo all’argomento è stato un passo.

2) Stiamo facendo abbastanza per combattere la violenza psicologica in Italia?

R. Diciamo che rispetto a dieci anni fa, che non se ne parlava assolutamente, passi avanti se ne sono fatti tanti grazie anche ai social che hanno contribuito enormemente alla divulgazione di un argomento tanto importante e dalla cifra oscura (quella che non perviene, cioè, alle statistiche) immensa.
Il fatto, però, che rispetto ad altri Paesi europei siamo a tutt’oggi privi di una specifica normativa in materia la dice lunga sulla scarsa volontà dei nostri politici di legiferare su un argomento ritenuto da molti estremamente scomodo.

3) In che senso scomodo?

R. Innanzitutto si tratta di un fenomeno che non presenta contorni ben definiti, quello che è violenza psicologica per me potrebbe non esserlo per te che magari hai una sensibilità diversa dalla mia.
In molti contesti relazionali si tratta di una modalità tacitamente accettata. Mi riferisco in particolare a famiglie di stampo patriarcale o maschilista in cui il maltrattamento costituisce una sorta di stile di vita talmente cristallizzato ed endemico che è la donna per prima ad accettarlo.
Resta poi il problema della difficoltà della prova. Non sempre è facile procurarsi le evidenze di quello che è un attentato all’identità e alla dignità delle persone consistente in comportamenti e azioni non facilmente identificabili. Ci sono varie norme del Codice penale che contemplano questa forma di violenza più o meno indirettamente, ma la prova rimane sempre difficile da produrre e far produrre.

4) Facci un esempio di questi comportamenti e azioni.

R. Umiliazioni, denigrazioni, svilimenti, insulti, ricatti, minacce, accuse, colpevolizzazioni, …l’elenco è lungo. Deve trattarsi, naturalmente di azioni e comportamenti reiterati nel tempo.

5) Perché è così difficile ribellarsi a questo genere di maltrattanti?

R. Innanzitutto perché si tratta di persone a noi molto vicine che per una serie di ragioni non ci sentiamo di denunciare; il marito, il padre, il fidanzato, il datore di lavoro, il collega, siamo in un Paese malgrado le apparenze ancora molto arretrato e maschilista e una denuncia di questo tipo potrebbe facilmente ripercuotersi su chi la fa. In tribunale, dove mi capita di lavorare come consulente tecnico di parte, si assiste a delle vere e proprie inversioni di colpevolezza e più di una volta capita che la vittima di abusi venga trasformata, dagli organismi stessi che dovrebbero essere adibiti a tutelarla, in carnefice.
Poi perché dietro alla vittima di questa forma di violenza c’è spesso una storia di abusi alle spalle o di comportamenti appresi nella famiglia d’origine.
Vi sono poi molte altre ragioni: la paura del carnefice, quella della solitudine, quella di perdere i figli o l’indipendenza economica. La questione è molto complessa.

Cinzia Mammoliti è anche autrice di diversi libri tra i tanti citiamo: nella trappola di uno psicopatico, non mi freghi più, il manipolatore affettivo e le sue maschere e I serial killer dell’anima. Ha da poco pubblicato le parole per difenderci a cui dedicherò un approfondimento a breve.

www.cinziamammoliti.it






Fonte: Mariangela Campus