Caso Djokovic, una situazione evitabile e lo spettro di una realtà ben più complessa

09-01-2022 09:31 -

In questi giorni si è stati letteralmente inondati di notizie sull'evoluzione del caso Djokovic. Ognuno ha espresso giustamente la sua opinione e ognuno è giunto alle proprie conclusioni. Tuttavia, il parere più importante, quello giuridico, arriverà solamente stanotte, in quanto è previsto il processo che deciderà per l'accettazione o meno del visto del giocatore. Come si è giunti a questa situazione è probabilmente ben noto a tutti, ma ciò su cui si dovrebbe in primo luogo indagare è il perché.

Djokovic era a conoscenza del fatto che in Australia avrebbero potuto partecipare agli Open solamente i giocatori vaccinati contro il Covid-19 o coloro dotati di un'esenzione. Il serbo non ha mai nascosto il suo pensiero sulla questione ed ha affermato nell'ultimo periodo di non voler rendere nota la sua condizione medica. Ovviamente, il comitato australiano non avrebbe mai potuto accettare una tale posizione e dunque si è arrivati ad una sorta di accordo. Il campione serbo ha prodotto una certificazione mediante la quale si è appreso che lui poteva essere esentato dalla vaccinazione.

A seguito di questa motivazione, gli organizzatori gli hanno fornito delle garanzie sulla partecipazione al torneo ed è il motivo per cui il tennista ha intrapreso il viaggio verso l'Australia. Una volta atterrato però si è dovuto scontrare con l'ufficio immigrazione che in un primo momento lo ha trattenuto per ore per discutere del suo visto, mentre successivamente lo ha condotto in una struttura in cui vengono ospitati (o meglio detenuti) i rifugiati. Il tutto in attesa del processo che ci sarà appunto stanotte.

Ricapitolando dunque, Djokovic è partito con la consapevolezza di poter partecipare, ma una volta giunto a destinazione ciò gli è stato impedito. E' mancata dunque la comunicazione tra gli organizzatori degli Australian Open e il Governo? Non proprio. Secondo quanto rivelato dalla testata australiana Herald Sun e da News.com.au, i rappresentanti di Tennis Australia avevano addirittura pregato il Dipartimento degli Affari Interni di controllare i visti di Djokovic e altri giocatori prima che si imbarcassero sui rispettivi aerei.

La risposta fu abbastanza netta: "Il ministero della Salute e degli Affari Interni non possono fornire o analizzare i certificati. I certificati saranno analizzati al check in (e al momento di ingresso nel paese)". Il problema però non è stato solo questo. In una successiva comunicazione sono emersi diversi elementi confusionari. L'aver contratto il Covid-19 nei 6 mesi precedenti la data di inizio del torneo avrebbe comportato il poter evitare la quarantena, ma non per forza l'approvazione dell'ingresso in Australia.

Recentemente è trapelato che l'esenzione di Djokovic potesse riguardare proprio una guarigione dal Covid-19. Sono sorte delle polemiche in quanto le date fornite dagli avvocati in cui il serbo avrebbe dovuto osservare le misure di isolamento, coinciderebbero con eventi pubblici a cui il tennista ha partecipato, con tanto di foto pubblicate sui social. Anche in questo caso viene spontaneo chiedersi come si possa essere stati così poco accorti. Non sarebbe strano se dal processo di questa sera emergessero nuovi fatti ancora sconosciuti ai media.

Tra l'altro, se il visto del tennista dovesse venir respinto anche altri giocatori si troverebbero a rischio esilio. Come riferito dal comitato organizzatore degli Australian Open infatti, Djokovic non era l'unico ad aver presentato un'esenzione per poter partecipare. Si comprende bene che perdere altri atleti, soprattutto se il numero dovesse essere corposo, potrebbe risultare decisamente problematico. Pertanto stanotte non sarà importante solo l'esito della sentenza, ma anche la spiegazione che verrà data.

Un caso quasi analogo vi è già stato ed è quello di Renata Voracova, che ha deciso di lasciare l'Australia. Interessanti sono le sue parole riportate sul giornale ceco Idnes: "Ho fatto tutto ciò che mi hanno chiesto di fare. A quanto pare l'Australian Tennis Association ci ha fuorviato, il che è fastidioso. Volevo concentrarmi sul tennis, non sui visti, sulla quarantena. È davvero strano che ho passato una settimana qui, ho giocato una partita... E poi sono venuti a prendermi".

Nel suo caso inizialmente non vi erano stati problemi: "Hanno esaminato attentamente i miei documenti ovunque, ma non hanno fatto storie. Il Servizio federale di frontiera mi ha rilasciato immediatamente. Sono rimasto solo con i funzionari del Victoria che hanno inviato i miei documenti da qualche parte. Ma poi hanno confermato il mio ingresso nel Paese senza problemi".

L'idea che dietro ci sia qualcosa di più però è sorta: "Perché non combatto per i miei diritti? Ho qualche idea. Non so se la mia presenza cambierebbe qualcosa. Spero che lunedì Djokovic riesca in tribunale. Ma nel mio caso, tutto richiederebbe qualche giorno in più. Non voglio perdere tempo con la guerra politica che si sta svolgendo dietro le quinte. Penso che i federali abbiano trovato una scappatoia nel protocollo di Victoria a causa di Djokovic. Ora, ancora una volta, i suoi avvocati possono trovare una scappatoia nei regolamenti federali".

Positiva o negativa, quel che conta sembra essere la pubblicità che è arrivata copiosa per tutti. Da un lato l'Australia sembra voler dare un segnale forte sulle proprie misure restrittive che non fanno sconti a nessuno, nemmeno al numero 1 del tennis mondiale. Dall'altro Djokovic che ancora una volta ha accentrato l'attenzione su se stesso e probabilmente ha aumentato ulteriormente la sua popolarità in Serbia e non solo. Di contro però al momento vi è anche buona parte dell'opinione pubblica del resto del mondo, che non fa un buon ritratto del giocatore (almeno fino al processo di stasera poiché tutti sono sempre innocenti fino a prova contraria). Infine c'è il torneo, che ha rischiato di non avere le sue stelle, ma è salito alla ribalta mondiale per i fatti di cronaca.

Insomma, in fin dei conti ci hanno guadagnato un po' tutti e quindi forse no, il caos mediatico non si poteva evitare.

Di Maria Laura Scifo