18 Maggio 2024

I GIALLI DI D. BUCOSCHI: SA FREGULA CUN SA COCCIULA

DANIELE CARDIA BARCOLLO MA NON MOLLO
scritto da Daniele Cardia il 08-06-2021 10:11
SA FREGULA CUN SA COCCIULA
di D. Buchoschi

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Il Commissario Visentin era stato trasferito dalla piccola cittadina del Veneto. Il Questore e il Ministero, vista la sua notevole esperienza, gli avevano chiesto di “ricostruire” una stazione di polizia in Sardegna. Lui, da buontempone qual era, aveva accettato, perché amava il mare e tutti parlavano della gustosissima e squisita cucina sarda. E dopo tanti anni voleva lanciarsi in una nuova sfida.
Visentin era un goffo omino panciuto, più largo che alto e, come diciamo noi, sicuramente era una “buona forchetta”. Era salito sull'aereo in direzione Cagliari; a lui da una parte lasciare la sua piccola famiglia che si era costruito in quel paesino, gli dispiaceva. Sapeva però di lasciare in buone mani le redini del commissariato a Dal Canto e contava anche sul fatto che il giovane Billy ormai adulto, presto sarebbe diventato Ispettore. Si fidava ciecamente di loro. Durante il viaggio in aereo, non aveva potuto evitare qualche lacrimuccia, ma subito prese il sopravvento un gran sorriso di gioia appena vide le bellissime coste isolane, il promontorio della Sella del Diavolo e le stupende spiagge affollate.
Atterrò a Cagliari, all'Aeroporto di Elmas. Poi si recò al suo futuro luogo di lavoro, precisamente a Castiadas, un piccolo paesino della Costa Sud orientale, a circa 40 km da Cagliari. Infatti, proprio nel capoluogo, aveva acquistato casa, una villetta al Poetto, affacciandosi da un lato della quale poteva osservare il mare stupendo, dove soffiava una leggera brezza di Maestrale. Quei colori e quei profumi erano mille volte migliori di quelli che lui, ricordava quando, bambino, era cresciuto sul Lido di Venezia. Dall'altra finestra poteva invece affacciarsi sullo Stagno di Molentargius, dove stavano svolazzando i fantastici fenicotteri rosa.
S'insediò per il primo giorno di lavoro. Era esattamente il 13 agosto all'h 9.00 del mattino. Era sua abitudine, durante la pausa dal lavoro, far un bagno e pranzare nel chiosco di “Tzia Matilde” a Cala Sinzias, località balneare a pochi chilometri dalla stazione di polizia.

Quella mattina fece la conoscenza del Vice Commissario Antonio Fenu e dei brigadieri Salvatore
Argiolas e Pierpaolo Cogoni. Trascorsa la mattinata tra scartoffie e varie presentazioni, andò a pranzo in quella che era diventata la sua spiaggia abituale e si fece preparare un ottimo piatto di fregula cun sa cocciula nel suo chiosco preferito. Tzia Matilde gli spiegò che era la tradizionale Fregola sarda con arselle o per renderlo comprensibile a Visentin, gli disse che le arselle erano delle classiche vongole. L'anziana signora cucinava con cura sa fregula, per lei era come un rituale sacro. Preparava la pasta rigorosamente a mano: sa fregula è simile al couscous sebbene sia più grossa; mescolava l'acqua di sorgente e la semola sarda. Sfregolava l'impasto per ottenere delle piccole sfere, infine le tostava in forno perché assorbissero bene il condimento. La consistenza cremosa e il suo buon sapore erano un tocco fondamentale di Tzia Matilde. Dopo di che cominciava la pulizia delle arselle, le sbatteva per assicurarsi che non fossero piene di sabbia, in tal caso si aprivano mentre venivano colpite, le lasciava poi in ammollo per un paio d'ore nell'acqua stessa del mare, in questo modo i molluschi eliminavano la sabbia contenuta all'interno. Fatto questo, versava le arselle in un grande tegame di rame e lo metteva sul fornello. Scaldava lentamente un filo d'olio d'oliva e uno spicchio d'aglio sbucciato, tuffava le arselle e le bagnava con la vernaccia. Copriva poi con un coperchio, alzava al massimo la temperatura e le lasciava schiudere, agitando lentamente, di tanto in tanto, il tegame. Una volta pronte, le scolava filtrandole con un colino a maglie strette, o eventualmente attraverso della garza sterile, per eliminare eventuali residui di sabbia o di guscio. Scartava poi lo spicchio d'aglio. Metteva da parte le arselle e il liquido di cottura. Ultimava gettando dei pomodori pelati sminuzzati finemente. Lasciava insaporire per un paio di minuti e aggiungeva il prezzemolo tritato. Aggiungeva ancora il pepe, e un suo segreto, ma non spargete la voce, durante la cottura metteva una spruzzata di zafferano del suo orto in Campidano. Visentin spazzolò questa bontà in pochi minuti, sorseggiando un buon bicchiere di vermentino fresco e si fece pure la “scarpetta” con una fettina di civraxiu, il tipico pane sardo a pagnotta. Era abbastanza sazio, o come si dice al paese mio, si era proprio sbuddato. Pensava di non voler mangiare altro, ma la signora, da classica cagliaritana, lo convinse ad assaggiare alcuni ricci pescati la mattina. Glieli preparò: Tzia Matilde prese delle forbici, aprì in due i ricci e lo fornì di cucchiaino per gustare quella strana ma buona purea rossiccia. All'inizio Visentin era scettico, non li aveva mai mangiati e quel mollusco spinoso un pochino gli faceva senso, ma poi si ricredette.

Tornato in commissariato verso le h.15.00, ricevette una telefonata che lo informava che era stato rinvenuto il cadavere di un giovane sulla spiaggia di Cala Pira. Si alzò dalla sua poltrona di pelle, andò verso la porta e con la sua voce rauca urlò: «Fenu, Argiolas, Cogoni venite immediatamente qui, hanno trovato un cadavere a Cala Pira, preparate la volante!».

Quando arrivarono sul posto, trovarono gli agenti della scientifica con il Medico Legale, Dottor Angius: «Buongiorno e benvenuto, Commissario» - il ragazzo si chiamava Simone Cabras di 25 anni - «Il cadavere era seminudo tra le rocce, forse trasportato dalla corrente, è stato trovato da un bagnante di passaggio un'ora fa, ma presumo sia morto stamattina all'alba. Nelle unghie ho rinvenuto dei granelli, ma non di sabbia, sembrerebbe più che altro della calce o dell'argilla. Io non me ne intendo. Con l'autopsia, potrò darle maggiori dettagli. Inoltre gli hanno inflitto una trentina di coltellate». Intervenne il Commissario domandandogli: «Dottore, lei cosa crede? Come mai è stato trovato tra le rocce? è stato trasportato dalla corrente o pensa sia stato gettato da qualche imbarcazione?» ed ecco la risposta pronta e decisa del medico: «Oh! Visentin, Cuminciendi sesi?» Visentin lo guardò sbigottito, non capendo cosa volesse dire quella frase e chiese così a Fenu che gli tradusse che significava . Poi il medico continuò con la sua tipica cadenza cagliaritana: «Caro mio, le parlo in italiano così ci capiamo. Io sono solo un semplice medico legale, tutte le ipotesi e le dinamiche spettano a lei. Io ho l'ingrato compito di fare l'autopsia e fornirle i dettagli delle cause della morte. << Capiti ci siamo? Lampu!». E così Visentin ascoltando queste parole, con un leggero accento veneto: «Angius ho capito. Già lo sapevo! Le mie erano solo domande. Lei è come il vecchio Ducky!»; «Come?» chiese il Dottor Angius. Visentin rispose: «Baƚusón» e dopo questa risposta fu Angius a essere sbigottito, guardando gli altri poliziotti, senza capire il significato. Il Commissario, che non era nato ieri, gli disse: «Angius, oltre a fare l'autopsia, informati e traduci questa parola. Poi mi farai sapere. E da oggi ti chiamerò Doc Baƚusón e, come dite voi, cittirì insomma fai silenzio». Angius poi scoprì che Baƚusón è come dire scemotto.
Forse era troppo presto per dirlo, stranamente, ma questa fu l'inizio di una lunga amicizia tra il Commissario e il Dottore: un'amicizia tra sfottò e risposte sarcastiche. I due consumavano spesso succulenti pranzetti a base di fregula.
Tornando all'efferato delitto, Visentin si mise a indagare. Scoprì che la vittima lavorava in una nave petroliera, “Sa Perda Niedda”. Il giorno del ritrovamento del cadavere, la nave per la quale lavorava si era andata a incastrare alquanto dentro una petroliera russa, la “Svetlana II”. Ora bisognava capire se i due episodi erano collegati tra di loro. Visentin chiamò Fenu e gli chiese di prendere una motonave della Polizia, per raggiungere la petroliera sarda ormeggiata alla fonda al largo del porticciolo di Marina Piccola. Qui decise di interrogare l'equipaggio e scoprì che il giorno dell'incidente la vittima aveva avuto un diverbio con un marinaio della nave russa, poi sfociato in una lite violenta. Avrebbe voluto interrogare l'equipaggio russo, ma anche se avesse trovato qualcuno a bordo che parlava sia l'italiano sia il russo, non si fidava della loro stessa traduzione. Quindi fece una telefonata a uno dei suoi brigadieri: - «Argiolas! Per caso abbiamo un agente che parla russo? Mi servirebbe un traduttore per fare un interrogatorio». Il buon Argiolas trovò un agente semplice italo-russo, Efisio Ivanov (di madre sarda e padre russo). Ivanov era nato in Sardegna, il padre era immigrato qui per lavoro. Efisio aveva trascorso diverse estati dai nonni paterni in Russia. Quindi il russo era la sua seconda lingua. Visentin, utilizzando Ivanov, scoprì ben poco. L'equipaggio non ebbe niente da dire, come immaginava il Commissario. Poi tornando sulla terra ferma, come faceva spesso, andò a pranzo da “Tzia Matilde”, per la graditissima “fregula cun cocciula”.

Contemporaneamente il Doc Baƚusón inviò il referto dell'autopsia. Dall'autopsia era emerso che quei granelli nelle unghie della vittima, come aveva sospettato Doc Baƚusón, in realtà erano esattamente idrossido di calcio, la comune calce usata in edilizia. L'idrossido di calcio veniva trattato nella petroliera russa, dove il giovane lavorava, perché, rilasciato in forma di sospensione liquida, si dissolve grazie alla grande turbolenza della scia della nave. Lo stesso infatti, combinandosi in un processo spontaneo con l'acqua, aumenta la capacità tampone delle acque marine verso l'acidità e permette di contrastare la diminuzione del pH; ciò favorisce la rimozione di CO2 dall'atmosfera e conseguentemente permette la riduzione dell'anidride carbonica negli oceani. Questa calce aveva un ruolo importantissimo per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera, ma in natura era rara e le petroliere facevano a “gara” tra di loro per accaparrarsela e per questo motivo si era creato un grande traffico con una cospicua circolazione di soldi sporchi.

Saputo questo, Visentin pensò innanzi tutto di aver individuato un possibile movente, mancava naturalmente l'assassino. Il commissario, accompagnato dal Vice Commissario Fenu e dall'interprete Efisio Ivanov, andò a indagare sulla petroliera russa. Trovò un ambiente ostile, l'equipaggio era poco collaborativo. Visentin fu molto seccato, era la seconda volta che tentava un approccio, senza riuscire ad ottenere nulla. Poco dopo si recò sulla petroliera sarda, scoprì che la vittima era un vero play boy e gigolò, di quelli che ogni volta che attraccavano in un porto passava le notti con donne diverse ogni sera. Uno dei marinai sembrava avere una cotta per lui, perché disse: «Con quel fisico stupendo palestrato da stallone, non poteva che piacere alle donne. Molto spesso girava voce che si portava a letto donne molto più grandi di lui e si faceva pagare». Raccolta questa informazione, il movente passionale sembrava un'altra probabile ipotesi: sia il marinaio innamorato sia una tra le mille donne invidiose tra loro o anche un marito geloso potevano essere i responsabili. Ma il commissario aveva una strana sensazione. Non ne era molto convinto, qualcosa gli diceva che questo non era il vero movente. Sarebbe stato l'ennesimo buco nell'acqua. Visentin tornò sulla costa, disse a tutti di tornare tranquillamente al commissariato, lui aveva bisogno di passeggiare, li avrebbe raggiunti più tardi al commissariato con la sua Fiat 600 turbo-diesel, presa a noleggio in aeroporto; e come sempre, fece sosta per “sbuddarsi” da Tzia Matilde. Così il commissario goffo e panciuto fece una breve passeggiata passando dal porticciolo; durante la camminata si mise a riflettere. Pensò: «Dunque mi pare strano, come ha detto il nostro traduttore Efisio Ivanov, che la petroliera russa non c'entri proprio nulla, la vittima nelle unghie aveva granelli di quella calce, come quella trovata sulla petroliera russa. E mi sembra poco probabile che possa essere un delitto passionale».

Prese lo smartphone, telefonò al suo vice Fenu e gli chiese di verificare se il poliziotto sardo-russo avesse qualche interesse nella petroliera russa. Dopo due ore Fenu prese il telefono digitò il numero e dall'altro capo «Sono Visentin! Dimmi, ragazzo»; il vice rispose: «Efisio Ivanov ha una quota segreta in una società cinese, ed era suo interesse che quella calce finisse nelle mani cinesi, inoltre la sera prima, sembra abbia avuto un litigio con la vittima, perché lo aveva scoperto. Inoltre mi sono permesso, per curiosità, di informarmi se fosse sposato, ed è risultato che la moglie due sere prima era andata a cena, segretamente, sempre con il bel povero malcapitato, a quanto pare, molto sexy per le donne e non solo, almeno così era emerso dalle indagini».
Dopo aver appreso queste informazioni, a Visentin gli si accese una “lampadina”. Si rituffò nei suoi pensieri: «Quel bastardo di Ivanov aveva due moventi. Un interesse economico e una spudorata gelosia». Immediatamente telefonò a Ivanov, convocandolo in commissariato. Arrivarono tutti e due a destinazione; Visentin incominciò l'interrogatorio, mettendolo ben bene sotto torchio, per diverse ore. Alla fine Ivanov crollò e confermò l'ipotesi del Commissario. Aveva pugnalato la vittima per entrambi i motivi sospettati dal Commissario, sia perché si era opposto a spargere la calce in mare e sia perché si era portato a letto la sua bellissima moglie. Dopo averlo accoltellato, l'aveva poi gettato in mare.

Visentin aveva risolto il suo primo caso in Sardegna. Telefonò al Questore Brambilla, originario di Milano, anche lui appena arrivato nell'isola. Gli raccontò tutto e formularono il capo d'accusa.
Come chiuse questa telefonata, squillò nuovamente il suo telefono. Era un numero veneto. Era il giovane Billy in lacrime: «Commissario hanno sparato a Dal Canto, ha subito un agguato. È in fin di vita e i medici non sono ottimisti».

«Prendo il primo aereo e arrivo» replicò Visentin. Chiuso con Billy, ordinò ai brigadieri Argiolas e Cogoni di prenotargli il volo. Che cosa successe dopo però non lo sappiamo, perché questa è un'altra storia…

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