
Mercoledì 11 dicembre 2024 è stata una giornata apparentemente storica per il Corno d’Africa: dopo anni di attriti, Etiopia e Somalia hanno trovato quasi inaspettatamente un accordo, grazie alla mediazione della Turchia. I due Stati hanno così firmato la “Dichiarazione di Ankara“, un’intesa che comporta il reciproco riconoscimento della rispettiva sovranità e integrità territoriale.
L’elemento di maggiore rilievo però è stato un altro, ovvero l’apertura dell’accesso al mare per l’Etiopia attraverso i porti somali. Nel corso degli anni, lo sbocco sul mare era stato uno dei principali motivi sulla base di cui la stessa Etiopia aveva aperto aveva aperto dei dialoghi agevolati con il Somaliland, l’area che da circa 30 anni si batte per ottenere l’indipendenza dalla Somalia.
Considerata la sua ricerca di appoggi atti a favorirne il riconoscimento a livello internazionale, il Somaliland aveva allora concesso l’agognato accesso al mare per l’Etiopia, alimentando al contempo le tensioni tra quest’ultima e la Somalia.
La dichiarazione di Ankara ha di fatto ribaltato questa prospettiva, riavvicinando due Stati che apparivano sul piede di guerra.
Ad ogni modo, anche se nell’accordo non viene mai espressamente menzionato lo stato indipendente, è apparso subito chiaro che le implicazioni derivanti da queste relazioni lo avrebbero direttamente riguardato. A questo punto perciò è sorge spontanea una domanda: cosa ne pensa esattamente il Somaliland di questo accordo?
Una cronologia dei fatti concitata per il Corno d’Africa
Quei giorni sono stati piuttosto concitati in Somaliland poiché appena un giorno dopo la stipula degli accordi, 12 dicembre 2024, nel Paese si è insediato ufficialmente il nuovo governo. D’altra parte, nonostante il tempismo quasi strategico della Dichiarazione, questa non sembra aver destato particolari preoccupazioni nei nuovi leader.
Mohamed Farah Abdi, portavoce del Waddani Party, il partito vincitore delle elezioni, è stato interrogato dalla BBC sulla questione e ha replicato in modo piuttosto diplomatico: “L’accordo raggiunto ad Ankara non ha nulla a che vedere con noi, sono due Stati e noi siamo il Somaliland. Se loro stanno facendo un accordo è perché sono due Paesi confinanti. Se si accordano e dialogano è normale, non ha nulla a che fare con noi”.
Una risposta sì diplomatica, ma che potrebbe risuonare anche in modo un po’ bizzarro: le dimostrazioni di forza e solidità del partito neoeletto possono essere anche comprensibili, ma davvero il Somaliland non percepisce come un rischio l’attuale situazione?
La risposta è un canonico “ni”. Di certo i nuovi accordi raggiunti tra Etiopia e Somalia non avranno generato giubilo nel cuore del nuovo governo, anzi tutt’altro. Tuttavia, il Somaliland potrebbe essere andato oltre la necessità di ottenere il riconoscimento da parte di altri Stati africani, potendo contare sull’appoggio degli Stati Uniti.
Trump spingerà per il riconoscimento del Somaliland
Stando a quanto riferito dal media statunitense “Semafor“, tra le future iniziative del neo-presidente Donald Trump vi sarà anche quella per il riconoscimento del Somaliland come Stato indipendente. Qualora ciò dovesse avvenire, significherebbe aprire le porte per l’ingresso degli Stati Uniti nel Corno d’Africa e non sarebbe escluso che, a causa di questo, possa generarsi una serie di conflitti tali da gettare l’area nel caos.
E le operazioni parrebbero già avviate: lo stesso 12 dicembre, il deputato repubblicano Perry Scott ha presentato una mozione per riconoscere l’indipendenza del Somaliland. Ma perché gli USA dovrebbero spingere per il riconoscimento dello Stato?
Il motivo risiede in un interesse strategico-militare e commerciale che porterebbe gli Stati Uniti ad avere un prezioso avamposto che faccia da controparte alla Cina. Non troppo lontano dal Somaliland, infatti, si trova lo stretto di Bab-el Mandeb, che separa Gibuti e Yemen. Tale stretto rappresenta un punto fondamentale per il trasporto di beni e strumentazione militare.
Non è un mistero che la stessa Cina abbia da tempo messo gli occhi su quello stretto, potendo sfruttare anche una partnership piuttosto importante nel Corno d’Africa, ovvero quella con l’Etiopia. Basti pensare che tra il 2006 e il 2018, il governo cinese ha fornito prestiti al Paese africano per un totale di 14,83 miliardi di dollari. Con tali quantità di denaro, il governo etiope ha poi finanziato la costruzione di strade, autostrade, sviluppato le telecomunicazioni, il trasporto aereo e l’industria energetica tra le altre iniziative.
Ecco quindi che tutta questa serie concitata di eventi comincia ad assumere connotati più chiari, ma soprattutto rischia di accendere una miccia che potrebbe esplodere da un momento all’altro.
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