
“Vivere la vita è un gioco da ragazzi, me lo diceva mamma e io cadevo giù dagli alberi” ha cantato ieri, ancora una volta, Lucio Corsi e in effetti nel momento in cui il mondo ha scoperto i risultati del televoto dell’Eurovision, è “caduto dal pero”.
Così il festival per eccellenza che si gloria di proclamarsi come apolitico è stato nuovamente travolto dalle polemiche per le sue scelte faziose e politicizzate. D’altronde, cosa ci si poteva aspettare da un’organizzazione che aveva negato l’accredito a decine di giornalisti da tutto il mondo, firme iconiche e usuali della corrispondenza dal festival, che avevano compiuto un solo piccolo errore: condannare il genocidio israeliano nei confronti del popolo palestinese.
La vittima più nota di questa apolitica e casuale decisione è stato il giornalista polacco Szymon Stellamaszyk, che in molti forse ricorderanno per la domanda rivolta alla cantante israeliana Eden Golan in conferenza stampa (“Non ritieni che la tua presenza qui possa causare un rischio o un danno ad altri partecipanti?”). Stessa sorte toccata al celebre content creator esc_gabe, che ha comunque trovato il modo di essere presente e raccontare l’Eurovision dal suo punto di vista.
Insomma, Israele sì e con tanto di capacità di dettare legge sulla gestione dell’evento, la Russia però no perché l’European Broadcasting Union doveva prendere delle contromisure nei confronti di un paese invasore. In fondo lo sappiamo: ci sono vite umane che evidentemente valgono più di altre, anzi a quanto pare considerare i palestinesi come persone è diventato un atto rivoluzionario che va punito in ogni modo possibili ed immaginabile.
E in effetti la conferma l’ha data l’EBU stessa, minacciando Spagna e Belgio di una punizione esemplare qualora avessero ricordato in occasione della finale, come fatto durante le semifinali, che Israele sta compiendo un genocidio. Per una volta però le stesse Spagna e Belgio hanno ricordato a tutti che il giornalismo di oggi non sa fare solo copia-incolla-rielabora con le notizie, ma si ricorda ogni tanto anche di denunciare quando le cose non vanno. E, altrettanto tristemente, anche questa azione è stata una rivoluzione.
Spagna e Belgio infatti hanno deciso di non piegarsi: qualcuno ha mostrato altro, qualcuno ha inserito una sorta di avvertenza prima della trasmissione. E’ certo che subiranno delle conseguenze a livello economico, ma se non altro saranno gli unici a poter dire: “Non non ci siamo piegati. Non siamo stati in silenzio”.
Qui però arriva il paradosso di una notte assolutamente surreale. Quando le due giurie specializzate hanno annunciato a chi avrebbero conferito i 12 punti, la risposta è stata in entrambi i casi Israele. C’è chi ipotizza possa essersi trattato di “un contentino”, chi invece ritiene che sia avvenuta qualche manovra non proprio lecita. Sta di fatto che l’operazione era passata inosservata fino all’arrivo dei punteggi decisi dal televoto.
A sorpresa, tra lo stupore indignato di tutti, Israele si è ritrovata in testa alla classifica e nessuno sembrava poterla scalzare. La Svizzera, seconda dopo il voto delle giurie, incredibilmente non ha ricevuto alcun punto dal pubblico. Solo l’Austria, per puro caso o forse non troppo, è riuscita nell’impresa facendo tirare un sospirone di sollievo a gran parte dell’Europa e probabilmente anche agli organizzatori. Per quanto infatti si siano impegnati a censurare le contestazioni o le proteste avvenute in loco, sostituendole con degli applausi finti, difficilmente avrebbero saputo far fronte ad una situazione che rischiava di degenerare rapidamente.
Probabilmente si è scelto il male minore, perché per il secondo anno consecutivo l’Eurovision si svolgerà in un paese dichiaratamente neutrale in cui la situazione dovrebbe essere “più facile” da gestire. Anche perché l’EBU dovrà relazionarsi sempre più con un problema fondamentale: il distacco che c’è tra i pubblico e i supposti voti che dal pubblico vengono dati.
Musicalmente parlando, la canzone di Israele aveva una certa nota stilistica, ma da qui a meritare 297 punti, oltre 100 in più rispetto alla Svezia terza e una quarantina in più rispetto all’Estonia di Tommy Cash, di acqua sotto i ponti ne sarebbe dovuta passare parecchia. Perciò, l’impressione che si sia trattato dell’ennesima votazione politica appare piuttosto forte.
Ad ogni modo, al di là delle supposizioni ed ipotesi che inevitabilmente possono essere mosse da una parte e dall’altra, il quesito di fondo è soprattutto uno: ma all’EBU interessa qualcosa della dignità e della tutela della persona umana? Qui ritorna ad essere pertinente, anzi lo è sempre stata, la domanda che il giornalista polacco lo scorso anno aveva posto alla Golan. Perché il paradosso è che oltre a far finta che il genocidio in corso non esista, persino l’incolumità degli stessi artisti di Israele viene messa a rischio.
Ma forse l’EBU vuole proprio questo. Calpestare i diritti civili di chiunque, anche di coloro che si credono i padroni del mondo, tramutandoli in diritti televisivi da riscuotere. Perché in fondo è inutile girarci attorno: le catastrofi umane sono pur sempre le migliori fonti di guadagno delle grandi multinazionali e anche delle grandi compagnie di broadcasting.
Forse più che apolitico l’Eurovision dovrebbe cominciare a definirsi anti-umano.
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