
OLBIA – Nessuna celebrazione, nessuna festa: l’8 marzo a Olbia è stato un giorno di lotta. Un corteo transfemminista ha attraversato la città per denunciare la cultura dello stupro, la violenza di genere, l’abilismo e le disuguaglianze sociali, trasformando la Giornata internazionale della donna in un momento di protesta e solidarietà collettiva.
Tra striscioni, slogan e interventi, il messaggio è stato chiaro: i diritti non si regalano con una mimosa, si conquistano con la mobilitazione. «Oggi ci dicono “auguri”, ma domani il nostro diritto a un’esistenza libera e dignitosa verrà di nuovo ignorato. Tenetevi le vostre mimose: appassiscono ogni giorno, proprio come il vostro interesse per i nostri diritti», hanno ribadito i manifestanti.
Tra i temi centrali della protesta, l’assenza di risorse per le donne con disabilità vittime di violenza. Una realtà spesso taciuta, ma che incide in maniera devastante sulla vita di chi la subisce. «Lo stupro ha a che fare con il potere e riguarda tutte le donne, comprese quelle con disabilità», ha sottolineato una delle attiviste presenti.
Le donne con disabilità, infatti, sono particolarmente vulnerabili alla violenza, non solo per la percezione del loro corpo come “non desiderabile” – che può indurle a restare in relazioni abusive – ma anche per la mancanza di strumenti per riconoscere i segnali della violenza. «Molte crescono senza essere educate a individuare i segnali dell’abuso e finiscono per accettarlo come una normalità. E quando denunciano, vengono credute ancora meno delle altre donne, o addirittura considerate provocatrici».

Un aspetto cruciale è l’assenza di strutture adeguate nei centri antiviolenza e nelle case rifugio. «Non esistono fondi dedicati all’accoglienza di donne con disabilità: mancano operatori formati, assistenti alla persona, supporti specifici. Senza questi strumenti, molte di loro non hanno neanche la possibilità di allontanarsi dagli abusanti».
Ma la lotta non si è fermata alla violenza di genere. Il corteo ha denunciato il modello economico della città, dove il turismo è prioritario rispetto ai bisogni di chi ci vive tutto l’anno. «Olbia è venduta al turismo, gli affitti sono insostenibili, la sanità è sempre più privatizzata e gli spazi sociali scompaiono», hanno dichiarato le organizzatrici, rivendicando il diritto a città vivibili, accessibili e a misura di chi le abita.
Promossa da movimenti come Non una di meno Nord Sardegna, Collettivo Strasura, Onda Rosa, Belle di Faccia, Movimento Omosessuale Sardo e altri gruppi transfemministi, la manifestazione ha voluto sottolineare come le oppressioni siano intrecciate: dal sessismo al razzismo, dall’abilismo alla violenza economica.
Durante il corteo, azioni simboliche e interventi – tradotti anche in LIS – hanno ribadito la necessità di un cambiamento strutturale: finanziamenti ai centri antiviolenza, aborto sicuro e gratuito, diritto alla casa, alla salute e all’istruzione. «La sicurezza non è controllo e repressione, ma educazione al rispetto, alla libertà di scegliere, al consenso».
«Siamo il rumore che non potete più silenziare», dicono le manifestanti, riprendendo le parole di Elena Cecchettin, che dopo il femminicidio della sorella Giulia ha denunciato con forza la cultura patriarcale e la violenza di genere. Un grido che risuona anche nelle strade di Olbia, dove la marea fucsia ha invaso il centro per dire basta. «Siamo la storia che non potete più riscrivere, siamo la voce che non potete più ignorare», ha gridato il corteo in marcia verso il Comune.
L’8 marzo a Olbia è stato questo: un giorno di lotta, di denuncia e di rivendicazione, per un futuro in cui nessuna venga lasciata indietro.
Commenta per primo