
(Adnkronos) – “Questa seconda giornata che abbiamo dedicato al tema della prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico nasce dalla consapevolezza che la cura del territorio è una priorità strategica per il nostro paese. Il sistema accademico e le istituzioni devono individuare le nuove tecnologie per il monitoraggio del territorio, in modo da agire in maniera preventiva sugli eventi distruttivi. La governance e le procedure di contrasto devono essere una priorità. Per gli interventi negli ultimi anni sono statati stanziati oltre 20 miliardi di euro. Una parte consistente di questa somma è stata finanziata negli ultimi anni ed ha riguardato, in particolare, frane e alluvioni. Tuttavia, molte regioni si trovano ancora in allarme permanente come ad esempio in Emilia Romagna, Piemonte ed Ischia. L’evento di oggi mira ad approfondire in particolare alcuni punti. Come detto, la governance che necessita di un maggiore coordinamento nelle emergenze; la necessità di aggiornare le modalità di monitoraggio in modo da testarne l’efficacia, riducendo le disomogeneità; la riduzione della complessità burocratica e dei tempi di realizzazione delle opere di controllo e autorizzazione. Siamo grati a tutti coloro che oggi hanno voluto mettere le loro competenze a disposizione di questa giornata di approfondimento”. A dirlo oggi Angelo Domenico Perrini, presidente del Cni, intervenendo alla seconda giornata nazionale per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico, l’evento organizzato dal Consiglio nazionale degli ingegneri, dal Consiglio nazionale dei geologi e da Fondazione Inarcassa. “La questione di fondo – ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin – è guardare il rischio idrogeologico del nostro Paese con tutte le evidenze di cui disponiamo oggi. Bisogna fare bene le cose e spendere in funzione delle necessità. I cambiamenti climatici non sono messi in discussione. Abbiamo dovuto applicare criteri diversi per le diverse zone di Italia. Purtroppo l’Italia ha il triste primato dell’intensificarsi di situazioni estreme. 400 litri di acqua a Catania in poche ore è un esempio di questi fenomeni di eccezionalità che stanno diventando troppo frequenti. Questo ci ha portato a prevedere molti investimenti sugli interventi. L’UE ha stimato in 500 miliardi l’impegno dei 27 paesi negli ultimi decenni”. Il Ministro ha poi così concluso: “La serietà, l’interesse dell’ordinamento professionale degli ingegneri e dei geologi ci devono aiutare ad essere un po’ più semplici e chiari nel fare il nostro lavoro”. Ai saluti del Ministro sono seguiti quelli di Pino Bicchielli, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico, che ha sottolineato come molti componenti della Commissione abbiano partecipato all’evento di oggi per raccogliere elementi utili sul tema. “Entrando nel merito di questa giornata – ha dichiarato Arcangelo Francesco Violo, presidente del Cng – è evidente che iniziative come questa mettono in risalto la peculiarità geomorfologica del nostro Paese. Parlando con il ministro Pichetto Fratin, in merito al problema del rischio idrogeologico, abbiamo condiviso poi che in Italia, molto spesso, le difficoltà che si registrano sono più organizzative che finanziarie. I finanziamenti ci sono ma molto spesso non vengono distribuiti adeguatamente. Questo accade anche a causa del problema della frammentazione delle competenze, che produce disordini nelle attività di coordinamento fra i maggiori attori istituzionali competenti”. “Tra le criticità riscontrate – ha continuato Violo – c’è anche la poca considerazione del rischio residuo in riferimento ad alcune parti della progettazione, oltre che in relazione alle attività ante e post operam, dove necessita l’applicazione di nuove tecnologie, capaci di formulare una visione di insieme sulle pericolosità. Occorre far leva sulla promozione di aggiornamenti sostanziali, soprattutto in relazione alla normativa tecnica. Il DPR 380/2001, ad esempio, è un testo ormai non adeguato ai tempi attuali e l’aggiornamento della nuova disciplina – ha concluso Violo – deve colmare importanti lacune di tipo tecnico, per stabilire linee guida salde, da trasmettere agli Enti preposti, rendendo anche più facile la ricezione delle informazioni poi trasmesse ai cittadini. Auspico che questa giornata, di anno in anno, possa contribuire ad accrescere l’attenzione sul tema, fornendo una visione di continuità, proiettata verso la risoluzione di ogni problematica”. “Giornate come quella di oggi – ha detto Andrea De Maio, presidente di Fondazione Inarcassa – rappresentano un'occasione fondamentale per richiamare l’attenzione del Legislatore sulla necessità di investire con decisione in politiche di prevenzione, attraverso piani e finanziamenti adeguati e mirati . Il dissesto idrogeologico, tra le principali emergenze ambientali e sociali che l’Italia si trova ad affrontare, richiede una visione strategica di lungo periodo, una solida capacità di coordinamento e un impegno collettivo costante che coinvolga istituzioni, comunità locali e cittadini. E' essenziale tracciare una road map chiara che preveda diversi punti: investimenti in studi e ricerche per mappare le aree vulnerabili e identificare i fattori di rischio, implementare le politiche di pianificazione territoriale che integrino il rischio idrogeologico nelle scelte di sviluppo urbano e rurale, prevedere un deciso incremento degli investimenti in infrastrutture di protezione e programmi di sensibilizzazione e formazione rivolti alle comunità locali. Un approccio coordinato tra i diversi livelli di governo e le istituzioni, è poi fondamentale per garantire una gestione integrata delle risorse e delle competenze. Solo attraverso un’azione sinergica tra istituzioni, società civile e professionisti tecnici sarà possibile costruire un futuro più sicuro e resiliente per tutti”. Per Guido Castelli, Commissario straordinario alla ricostruzione delle aree colpite dal terremoto Centro Italia, che ha detto: “Le ricostruzioni devono tenere conto degli effetti che derivano dall’essere un Paese a rischio sismico e climatico. Dal 2020 abbiamo lavorato su due fronti: da un lato la mappatura delle faglie attive e capaci, dall’altro l’aggiornamento delle aree di maggiore pericolosità. L’Italia ha delle caratteristiche che ci distinguono dagli altri paesi: abbiamo 678 mila frane attive. È quindi fondamentale la digitalizzazione di tutti gli archivi e delle informazioni geologiche, per rendere più efficiente la prevenzione e più sicura la ricostruzione”.
Luigi Ferrara, capo dipartimento di Casa Italia ha dichiarato: “Uno dei problemi principali in Italia nella gestione del dissesto idrogeologico è la frammentazione delle competenze tra i numerosi enti coinvolti, con conseguente dispersione di risorse. Una delle priorità, quindi, è l’omogeneizzazione dei dati e dei criteri di intervento: le banche dati devono essere uniformi, integrate e facilmente accessibili. In questo contesto, il contributo dei professionisti è fondamentale: grazie alle loro competenze tecniche, essi rivestono un ruolo chiave nell'attuazione efficace dei progetti”.
Negli ultimi 4 anni resi disponibili 10 miliardi di euro per opere di difesa del suolo e interventi d’emergenza. Non c’è un problema di risorse finanziarie, ma di rafforzamento della governance degli interventi. Per gli interventi di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico nel Paese sono stati stanziati e resi disponibili 20,1 miliardi di euro negli ultimi 25 anni, per un totale di 25.795 interventi (ammessi a finanziamento ma non sempre realizzati) distribuiti sul territorio nazionale. Una parte molto consistente dei finanziamenti è stata stanziata negli ultimi anni. E' quanto si legge nella Nota curata dal Centro Studi del Cni e del Centro Studi del Cng.
Nel periodo 2020-2024 lo Stato ha reso disponibili per il contrasto al dissesto idrogeologico 10 miliardi di euro sulla base di quanto emerge dalla Piattaforma Rendis gestita da Ispra. Questo a fronte di una spesa per riparare i danni che dal 2012 al 2023 è praticamente triplicata raggiungendo 3,3 miliardi l’anno. Tale valore è destinato, purtroppo, a salire ulteriormente. Trattandosi di opere spesso pluriennali, il tasso di realizzazione può essere valutato solo per gli interventi realizzati più indietro nel tempo. Se infatti si considerano gli stanziamenti che vanno dal 1999 al 2011, nel complesso l’ammontare di investimenti riguardanti le opere concluse supera il 70% di quanto stanziato. Se si guarda agli anni più recenti, ovviamente, il tasso di completamento è molto più basso, in quanto occorre dare il tempo che la progettazione si concluda e che le opere vengano realizzate. In linea generale il tasso di realizzazione appare apprezzabile ma non privo delle ben note criticità che riguardano tutte le opere pubbliche, ovvero tempi lunghi di 'attraversamento' necessari ad autorizzazioni e controlli delle Amministrazioni preposte e periodi di progettazione che, il più delle volte, risultano più lunghi del periodo necessario per avviare e chiudere il cantiere. La parte più consistente degli investimenti stanziati dallo Stato è destinata alle regioni con gli indici di pericolosità più elevati: il 9% risulta assegnato alla Calabria, il 7,9% alla Sicilia, il 7,9% al Veneto, l’8,3% alla Lombardia, il 6,5% all’Emilia-Romagna ed il 6,3% alla Toscana. (segue) La maggiore quota di finanziamenti per interventi di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico proviene attualmente dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che contribuisce, infatti, per ben il 48% degli stanziamenti programmati negli ultimi 25 anni, seguito dal ministero dell’Interno (31,1%) e poi dal dipartimento della Protezione Civile (15,2%). Quote minori, ma comunque consistenti, provengono dal Ministero per l’Agricoltura, dalle Regioni e dal Dipartimento Casa Italia. Gli eventi per i quali finora si è maggiormente intervenuti con finanziamenti pubblici hanno riguardato le frane (31,2%) e le alluvioni (28,7%), anche se il 33% si è sostanziato in interventi misti di mitigazione, prevenzione e riparazione da danni. Ciò che sembra emergere dai dati disponibili è che in Italia non vi sia un sostanziale problema di carenza di risorse per interventi attraverso cui affrontare i fenomeni di dissesto idrogeologico. Solo negli ultimi 4 anni è stata reperita una dotazione di quasi 10 miliardi di euro e nel corso degli ultimi 25 anni sono stati programmati quasi 26.000 interventi. Rispetto ad alcuni anni fa, infatti, le difficoltà registrate in merito all’attuazione degli interventi sono più organizzative che finanziarie: spesso le risorse ci sono, non vengono spese interamente e realizzate in tempi lunghi perché non collegate a progetti cantierabili, basate su ipotesi progettuali che poi vengono disattese sia per cambi di indirizzo politico che per difficoltà autorizzative. I ritardi nella realizzazione delle opere sono quelli che accomunano tutto il sistema delle opere pubbliche italiane, ritardi generati più da complessità di tipo burocratico che da questioni legate eminentemente alla progettazione e, forse, ancor meno alla realizzazione dei lavori. Dato l’ampio sistema di monitoraggio e di studio dei fenomeni legati al dissesto idrogeologico è possibile affermare 2 che il livello di attenzione al problema nel nostro Paese è elevato. Ciò nonostante il Paese sembra ormai caratterizzarsi per una allerta permanente. E’ sufficiente citare alcuni eventi molto recenti: dal 2022 si contano almeno 3 eventi alluvionali gravi che hanno coinvolto le Marche, 6 eventi alluvionali con danni ingenti che hanno coinvolto ampi territori dell’Emilia-Romagna, un evento grave in vaste aree del Piemonte ad aprile 2025 oltre all’alluvione distruttiva di Ischia nel 2022. Questo solo per citare i fatti più impressivi e forse tristemente noti. Per andare più alla radice del problema occorrerebbe, considerare due elementi: la presenza nel nostro Paese di un sistema di governance delle risorse e degli interventi che pur realizzato da enti competenti richiederebbe un maggiore coordinamento; – la necessità di aggiornare le modalità e gli strumenti di programmazione degli interventi anche avvalendosi dei più recenti apparati di monitoraggio e di telerilevamento estremamente efficaci e che consentirebbero di aggiornare di continuo e migliorare le modalità di intervento puntuale sul territorio non tanto e non solo in casi di emergenza (quando l’evento dannoso si sta verificando o si è già verificato) ma anche in via preventiva. (segue) Le risorse per gli interventi finalizzati ad affrontare l’emergenza o a realizzare opere di difesa del suolo sono gestite da almeno 6 grandi attori, quali il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il ministero dell’Interno, il dipartimento per la Protezione Civile, con quote molto consistenti, seguiti poi dal ministero per l’Agricoltura, dal Dipartimento Casa Italia e dalle Regioni e Province autonome. Se si eccettua il dipartimento per la Protezione civile, che interviene in via esclusiva nella fase di emergenza, negli altri casi il rischio potrebbe essere quello della dispersione in termini di individuazione delle priorità e delle linee di intervento. Alla molteplicità dei soggetti di vertice che possono stanziare risorse per intervenire in determinate situazioni, talvolta corrisponde la difficoltà delle Amministrazioni locali nel rendere operativi i singoli interventi. In generale risulta fondamentale avere sempre come riferimento l’unità fisiografica, la poca efficacia degli interventi del passato è spesso dovuta ad una visione 'puntuale' che non fa altro che spostare la pericolosità in un’altra zona; va sempre tenuto in considerazione l’equilibrio del bacino idrografico per quanto riguarda le alluvioni e l’ambito territoriale/geomorfologico significativo per il rischio frane. Tale concetto vale anche per gli interventi di contrasto all’erosione costiera. Non esiste quindi un’unica soluzione ma un ventaglio di soluzioni che includono sia interventi strutturali che non strutturali. Nello specifico andranno effettuate azioni di adattamento agli eventi metereologici estremi sempre più frequenti. Sarà dunque necessario attuare un piano pluriennale che preveda sempre di più l’impiego di risorse dedicate alla progettazione e realizzazione di interventi di tipo strutturale cioè opere di sistemazione idraulica e geomorfologica, utile ad evitare che i fenomeni si riattivino, si verifichino o comunque utili a mitigarne gli effetti. Tuttavia queste tipologie di interventi anche se utili e necessarie, da sole non possono consentire la soluzione di tutte le criticità presenti sul territorio. Vi è quindi un ulteriore aspetto che riguarda la necessità di aggiornare e di rendere omogenei tra loro i principali strumenti a supporto della programmazione, progettazione e monitoraggio dei territori a rischio: I Piani di assetto idrogeologico (Pai) redatti dalle ex Autorità di Bacino rappresentano degli strumenti di pianificazione di eccellenza a livello europeo. L’evoluzione continua e le dinamiche geomorfologiche del territorio, anche in relazione ai cambiamenti climatici, non ci consentono però pause su questo tema. Molti Pai necessitano di un aggiornamento che, al contrario di quanto avvenuto in passato, dovrebbe avvenire attraverso una metodologia omogenea. In diversi casi inoltre non hanno coperto l’intero territorio. Essendo gli stessi Pai un riferimento per la pianificazione territoriale, per la programmazione degli interventi strutturali e per la pianificazione di emergenza, aggiornarli è una necessità imprescindibile. Occorrerebbe inoltre procedere alla redazione dei Piani di gestione delle frane prevedendo le necessarie risorse economiche. (segue) Occorre completare la Cartografia Geologica d’Italia attraverso il progetto Carg, coordinato dall’Ispra. Il progetto prevede il finanziamento, attualmente parziale, per la produzione della cartografia geologica e geotematica del territorio nazionale, al fine di consentire la conoscenza fisica e geologica del territorio e del suo sottosuolo, tale conoscenza ne garantisce la cura e la tutela, oltre che aiutare nella prevenzione dei rischi geologici. Va adeguata la Pianificazione urbanistica comunale. Occorre incentivare i Comuni a recepire la Pianificazione di Bacino nei propri strumenti urbanistici. Questo consentirebbe di impedire le costruzioni nelle aree pericolose e di attuare uno sviluppo territoriale compatibile e sostenibile con l’assetto geologico del territorio, attraverso strumenti quali la rigenerazione urbana e la delocalizzazione nei casi più problematici. Occorre inoltre procedere alla redazione ed attuazione dei Piani di Protezione Civile, quale supporto operativo fondamentale per la gestione delle emergenze al fine di ridurre il danno, in caso di eventi, soprattutto in termini di salvaguardia della vita umana. Molti Comuni li hanno redatti, ma non vengono adeguatamente aggiornati con la ciclicità necessaria per mancanza di fondi dedicati: in riferimento a quanto previsto dalle linee guida per la redazione degli stessi, emanate nel 2021, e la competenza che hanno le Regioni di emanare specifiche linee guida, si segnala che per gli adempimenti dei Comuni, compreso il caricamento nel portale Mase, non sembrerebbe ad oggi essere prevista una norma 'perentoria' che ne imponga l’adozione per le amministrazioni locali. Su questo versante sarebbe opportuno che 'il modello di intervento', che rappresenta il 'fulcro' dei piani, sia sottoposto a verifica/validazione da soggetti terzi. Infine sarebbe utile perfezionare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) approvato con Decreto Mase n. 434 del 21/12/2023. Il Governo ha finalmente approvato tale Piano, commissionato nel 2016 dalla Direzione generale del Clima ed Energia dell’allora ministero dell’Ambiente e oggetto di numerose revisioni, che si configura come uno strumento fondamentale di indirizzo per le istituzioni a tutti i livelli di governo del territorio, ai fini dell’integrazione della tematica dell’adattamento negli strumenti di programmazione e pianificazione settoriale. Le azioni previste dal Pnacc dovrebbero però meglio identificare le priorità, definendo i criteri per i piani regionali e locali e determinando le risorse finanziarie destinate. Tutto ciò consentirebbe di raggiungere gli obiettivi primari del Pnacc, mettendo in campo azioni di adattamento e riducendo le cause del cambiamento climatico. —lavoro/professionistiwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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