
(Adnkronos) – La famiglia, l'operazione, il lavoro, l'amore, la sessualità. Vittoria Schisano, attrice transgender 47enne di Pomigliano d’Arco, si racconta in un'intervista in cui parla della sua rinascita dopo il 2014 quando, entrata in una clinica di Barcellona da uomo, ne è uscita donna. "Nasco in una famiglia semplice, mio papà che non c’è più era operaio, mia madre invece è il mio punto di riferimento, con mia sorella", dice al Corriere della Sera, dove spiega che all'inizio "non mi ha capito, mi fece una guerra enorme. Non volli ascoltarla e vederla, per un anno sparii da casa. Avevo vissuto a metà per troppo tempo, poi mi chiese perdono.. So che essere genitori non è facile, se mi ripenso bambina c’è una parte di me che non riesce ancora a perdonarla. Quando mi sono riappropriata di me stessa, ho scoperto l’uomo meraviglioso che era mio padre. Ho avuto il privilegio di stargli accanto negli ultimi anni della sua vita che coincidevano con i primi due della mia nuova vita. Mi ero trasferita a Roma a 18 anni perché volevo fare l’attrice. Dopo un anno dalla transizione decisi di tornare a Pomigliano. Papà vedendomi pensò che fossi mia sorella. Non mi riconobbe. Rosaria, esclamò. No papà, sono Vittoria. Disse: quanto sei bella. Il regalo più emozionante che potessi ricevere, sentirsi amata dal proprio papà". Ripercorrendo la sua carriera, l'attrice – protagonista di La vita che volevi, serie Netflix disponibile dal 29 maggio – racconta di aver cominciato "nel ’98 con Lando Buzzanca. Ho fatto la serie La vita che volevi , per cui il 30 mi daranno il Nastro d’argento, e il titolo mi rispecchia; abbiamo girato a Lecce e la città m’è piaciuta così tanto che con Donato siamo andati a viverci. Appena concluderà un divorzio non facile ci sposeremo. Prima, a Roma, per mantenermi ho fatto la gelataia, la cameriera, la commessa che per me era divertente, mi piaceva vendere, ero brava a fare le vetrine". "Quando mi chiamavo Giuseppe – dice parlando della sua vita precedente – interpretavo ruoli maschili, poi sempre transgender . Giovanni Veronesi mi ha detto che sono sottovalutata e dovrei competere con le colleghe. Spero che il suo augurio si realizzi. Finora si pensa a me solo come transgender (per quanto nella serie sono vincente), e non come suora, poliziotta o coatta tossica. Oggi non abbiamo bisogno di ruoli macchiettistici, basta e avanza il circo in tv. Io sono alta 1 metro e 80, perché ci si deve focalizzare su quel pezzetto lì". Parlando dell'operazione, racconta di averla fatta "in modo incosciente e ingenuo, pensando che mettesse equilibrio nella mia vita. Se potessi tornare indietro inizierei, prima della rettificazione degli organi, le cure ormonali. Mi faceva schifo il pene, non volevo guardarmi allo specchio, era la mia grande bugia; portavo la barba per paura della verità, nella mia vecchia vita non volevo essere relegata a ruoli da ragazzo gay. Sul set di Canepazzo ho detto basta, non sono quella roba lì. È come lo tsunami: quando arriva, o affoghi oppure nuoti con tutte le forze e ti metti in salvo". Quindi l'amore con Donato: "Otto anni fa venne alla presentazione del mio primo libro, La Vittoria che nessuno sa. Storia di una donna nata nel corpo sbagliato. Non sapeva chi fossi. Iniziò un corteggiamento serrato. Abbiamo fatto l’amore dopo due mesi che stavamo insieme, ed erano passati due anni dall’intervento. Essere vergini a 30 anni è diverso che a 15, è una roba molto importante". —spettacoliwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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